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2-Dic-2005 17:45
Keta - Una volta all' anno è lecito impazzire, Davide Porru, © 2005 La Riflessione Editrice, 316 pagine, 12 euro


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Da “Anna” , capitolo VII

 

Giunge imperterrita in una famiglia di paese di medio ceto sociale l’ora di cena, figlia illegittima di un’ aperitivo poco alcolico per meritare tale eufemismo.

Consuetudine di questa famiglia è la totale assenza di antipasti. Privilegio dei conviviali è l’immancabile civraxiu, tipico pane sardo esportato in tutto l’universo. Funge da antipasto. A qualcuno guasta il pasto. A Jonathan, guasta il pasto. Che riserva bonariamente poche opzioni di scelta.

Vuoi pasta o minestra? Ripete per la prima volta una signora di forma mammifera, alias “madre di Jonathan”.

Jonathan ha quattro anni e sei mesi.

Si dovrà abituare alla pressione dei giornalisti, si pensa, dato l’eccelso carisma che difficilmente non gli permetterà di sedersi tra i big.

Il tirocinio lo farà a casa.

Sembra scorgere la mano di Jason, in questo progetto.

Se non è progetto, non è opera di Jason.

Se non è opera di Jason, è uno svarione di Jonathan. L’ennesimo tentativo di liberarsi dallo spietato tormentone impostogli dalla madre.

Vuoi pasta o minestra?

Calmo Jonathan, stai calmo.

Il divino ti sta testando.

Vuol esser certo che tu sia pronto.

Ma Jason non plasma e modella? Non ha progettato precedentemente il mio destino, stile navigatore satellitare?

No Jonathan.

Jason talvolta trascura certi esemplari.

Non si cura di loro. Si preoccupa dell’accensione e lascia in balìa del caso il malcapitato.

Ma non…..

Non vorrai rivelare il senso della Creazione?

Cambia discorso Jonathan.

Potresti trovarti in serie difficoltà nel proseguo del tuo racconto.

 

Preso possesso delle sue piene facoltà mentali, orfane di continui capovolgimenti di pensiero non meritevoli di attenzione, Jonathan ha 19 anni.

Si appresta a consumare quella che per Il Cristo un giorno fu l’ultima.

Sigaretta.

Sei pazzo???!!!

Cena, scusate. Abbiamo dei problemi col microfono.

 

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Da “Eau du Senegal” , capitolo XXVIII

 

Sono estenuato da questo tira e molla che ormai da due mesi porta me e la mia donna angelicata ad allontanarci per ben più della notte che ci separava in tempi sereni relativamente lunghi. Ora qualcosa è cambiato, per via della pressante angoscia che mi porta a formulare degli ultimatum che legittimamente lei definisce oltraggi.

Sarcasmo, satira insensata e rivendicazioni illegittime hanno preso il sopravvento in quei tempi morti, inevitabili, che fanno da contorno alle nostre giornate nelle ore in cui giustamente ognuno si trova nella rispettiva dimora, rispetto ai consolidati romanticismi e atti d’ amore che mi avevano portato alla sua pur  taccagna attenzione. E lei si infastidisce, s’ incazza, si chiude a riccio. Nega il saluto, lo squillo, il messaggio, la risposta ad una mia chiamata. E secondo i misteriosi principi del turnover, si ricomincia ancora una volta daccapo. Ma si vanno irrimediabilmente a restringere di volta in volta i tempi di serenità a beneficio dei tempi di astio e rancore. Gli armistizi li pago cari, cedo in pegno una delle mie precedenti conquiste ottenute con duro lavoro in cambio di un perdono che, con un po’ di accortezza, avrei potuto evitare alla radice inibendo la mia predisposizione alla polemica. Sto perdendo colpi.

 

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 Da “Default – Ripristino delle impostazioni iniziali”, capitolo XIX

 

(da un ricordo d’ età infantile)

Ma per fortuna che c’è il topolino. Capace di riempire il vuoto della desolazione lasciato dal compleanno. Per cui oggi, il dì successivo, bisogna architettare un piano per staccare qualche dente dalle uniche gengive di cui siamo stati disposti da Jason qualche anno fa, nella maniera meno dolorosa possibile. Ma soprattutto, senza farlo sapere alla mamma! Perché, dice lei, il topolino non porta il soldino se il dente non è caduto da solo, e lei, che lo incontra segretamente, lo sa bene. È la prima legge a cui dobbiamo attenerci nella vita. Ma qui si vede l’ istinto italiano. E si raggira la norma.

Attente, mamme di tutta Italia! Il vostro in apparenza innocente bambino potrebbe aver realizzato la prima truffa della sua lunga vita. Si prega di consegnarlo alle autorità locali, che lo restituiranno in tempi brevi alla società ripulito da pericolosissimi istinti truffaldini tipici del nostro Paese.

 

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Da “L’oliva”, capitolo X

 

Poi ho chiesto un po’ in giro e mi sono accorto che la stessa realtà e gli stessi ideali di supremazia del più forte, sorta di legge della giungla, è rappresentata in maniera meno pubblicizzata nella politica stessa. Quella che ci riguarda personalmente e della quale un piccolo cambiamento potrebbe sconvolgere il nostro futuro. Com’è stato per l’Euro. Ma riguardo ciò è difficile individuare un solo responsabile. Ce ne sono senz’altro di destra, di sinistra, di centro. Ma non sta a me giudicare. Nessuno ha voluto questo ma tutti sanno di chi è colpa. Ma com’è possibile? Chi ci tirerà fuori da questo vespaio? Io non so rispondere. Lascio ad altri questo compito. Ora faccio parte di un nuovo partito: Q.C.S.N.F.A.G, ovvero, Quelli Che Se Ne Fottono Alla Grande. L’ho fondato io per festeggiare e suggellare il patto d’onore che avevo appena fatto con Jason. Per ora sono l’unico associato. Ma penso che con un po’ di retorica e di arte del buon uso della parola i risultati non tarderanno ad arrivare. Altro che guide, manuali, lezioni private o cassette educatrici. Basterà guardare un po’ di televisione e ascoltare a turno un po’ tutti i politici. Mi insegneranno come fare. Sono tutti così convincenti, con un po’ di costanza la mia parlantina sarà un puzzle dei loro migliori pezzi. Al mio esordio, ho votato tutti. Mi sono sistemato nel divano, ho acceso il televisore armato di fogli e foglietti e spuntato la casella vicina ad ogni candidato. In fondo, dicevano tutti delle cose giuste e avevano tutti dei buoni propositi, perciò non ritenevo giusto fare un torto a qualcuno di loro. È questa la vera par condicio! E perciò ho votato tutti. A poco importa se poi la scheda è stata soprannominata nulla. La mia coscienza è posto. Quella di qualcun altro un po’ meno.

 

Ma io me ne fotto, ho altro a cui pensare, qualcosa che mi faccia emozionare più della politica e della retorica fine a se stessa.

Anna, dolcezza, tu si che sei diversa.

 

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Da “Cancel”, capitolo XLIV

 

È scoppiato un incendio, in una grande metropoli. È allarme. Alcuni si muovono da una parte all’ altra, altri camminano avanti e indietro. Certi si preoccupano delle proprie cose, altri pensano a quelle degli altri. Qualcuno scappa, qualcun altro si arrende al proprio destino e decide di morire con onore, nel rispetto della propria natura. Molti muoiono, pochi ancora vivono. C’ è chi tenta di prendere per mano il gruppo per portarlo alla salvezza e viene ucciso anzitempo da nemici stracolmi di invidia. Questi avrebbero potuto tramutare l’ allarme in festa, in liberazione. Ma sono stati ammazzati. E c’ è chi si interroga con frenesia. Esiste forse un metodo produttivo capace di portare all’ accordo i cittadini, che grazie ad una collaborazione comune riusciranno a salvarsi in massa? Anche codesti sono stati uccisi. Non si potrà mettere fine al disordine. La metropoli è l’ umanità. L’ incendio è la vita. Per sempre. In eterno. Sotto il governo di Jason.

 

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Da “Stop alle telefonate”, capitolo XXXIII

 

E mi ritrovo qui a raccontare, carico di sentimenti inebrianti di passione, cavalcando l’ onta della disperazione che a tratti mi consuma.

Non riesco ancora a realizzare l’ accaduto. La sensazione è la stessa di quando viene a mancare un parente. È morto il Jonathan dolce e romantico, dopo tutto, instancabile e cortese, nonché intimidatorio, depresso e oppresso da sé stesso.

In questo momento il mio cuore è come uno scolapiatti.

Me ne farò una ragione, in qualche modo, e cercherò di seguire i consigli della donna che ha tenuto nel grembo e partorito la causa della mie disgrazie. Reagirò, se Jason me lo permetterà. Tuttavia non conosco in anticipo il finale di questa triste storia, e non mi sbilancio. Metterò a disposizione tutta la mia buona volontà per curare questa malattia, alla ricerca della felicità. Troverò dei surrogati. Dei diversivi. Setaccerò la Terra alla ricerca di nuovi ed entusiasmanti svaghi, secondo le leggi del mio essere. La vera felicità è la pace con se stessi. E per averla, non bisogna tradire la propria natura.

Dovrò riuscire ad archiviare questa esperienza terminata secondo i peggiori auspici nonostante in alcuni frangenti mi sono trovato ad essere forte di buone speranze. E combatterò fino alla morte per superare la tentazione bastarda di inviare sms di qualsiasi tipo all‘ ingrata incurante dei miei stati d’ animo da suicida. Crescerò, grazie a questa storia, se riuscirò a superare alcuni ostacoli che ora mi appaiono come insormontabili. Perché la crescita è nella lotta delle abitudini di ciascuno di noi, proprio quelle abitudini così radicate da non essere quasi coscienti.

 

E non permetterò una fuga di notizie. Sbarrerò tutte le uscite. Anna, non mi spaventa. Mantiene intatto quel briciolo di dignità che non le permette di parlare, di raccontare la nostra storia ad orecchi indiscreti. Se non avessi questa certezza, non sarei già più qui a parlare. Sarei da tempo morto, sepolto e rimpianto. Perché non riuscirei mai a sopportare lo scherno delle persone che mi conoscono e che mi reputeranno un pazzo furioso, alla pari di Anna. Non è pazza, lei, ma è questo il concetto che si è fatta di me. Ma si sbaglia, allo stesso modo io, quando la reputo una santa. È un comune essere umano, me l’ ha dimostrato. Coerente nella sua incoerenza.

Consultando abbastanza esperti si può trovare conferma a ciascun opinione. Ma io ne farò a meno. Non potrei sopportare che numerose persone indegne vengano a conoscenza delle mie disgrazie. Per cui non renderò partecipe alcuna persona dell’ amore inappagato e portatore di follia che mi ha visto protagonista. Perché non sono certamente alla ricerca di consensi.

 

Addio Anna, stavolta è finita sul serio.

 

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Da “FAQ – Frequently Asked Questions”, cap.XVIII

 

Nell’attesa, due mezze bionde di sardegna salutano questo mondo.

Onore agli egizi per avere ispirato la Ichnusa.

Sopra il tavolo alla mia sinistra, riposa chiuso a metà l’ Unione Sarda di ieri.

“Il pontefice insorge contro la parità dei sessi”.

Cavolo, me l’hanno fatto arrabbiare il bel Silvio dalla capigliatura trasparente.

E giù di lì, presunti scoop colorano d’ inchiostro circa quaranta fogli di carta di bassa qualità.

È incredibile come, ogni giorno, le notizie accadano esattamente per quanto basta a riempire un quotidiano.

 

……

 

E sono trascorsi tredici minuti da quando ho preso posto nella sedia accanto a quella che sarebbe dovuta essere già occupata da un culo un po’ più sostanzioso del mio.

E ora passano dinanzi ai miei occhi le due gemelle Alba e Tania. La prima, bionda, è la bagassa dell’amicizia, e la seconda, che bagassa lo è nel vero senso del significato originale, è rossa. Emana sesso da tutti i pori. È una bomba sexy. Se fletto il busto di venti gradi si piazza il cavalletto. Uno spagnolo, in circostanze simili a questa, potrebbe esclamare: “Me gusta!”. Un francese direbbe: “C’est bon!”, l’inglese: “Look good!”. Il sardo…”Già mi dìa coddai pagu!”. Che, per diritto di traduzione, annuncia la propria disponibilità a trascorrere qualche oretta, o qualche minuto, beh, dipende da lei, in sua compagnia. Con tutti gli scongiuri, ovviamente. È bene avere con sé precauzioni. Ma bisogna sapersi accontentare. E una cintura di castità in questi casi costituirebbe una giusta prevenzione.

 

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Da “Semel in anno licet insanire”, cap. XLI

 

Pensare con il mio cervello, l’ ho constatato più volte, non ha mai ripagato le attese iniziali.

Le ho provate tutte, si.

Me ne fottevo di tutto, e non ero felice.

Menefreghismo.

Amavo, e venivo trattato come un cane randagio.

Romanticismo.

Costruivo un rapporto perfetto, dall’ esterno, tuttavia evitando grandi sperperi di energie vitali che per colpa dell’ amore totalitario un tempo mi avevano reso iper-vulnerabile.

Falsità.

Rubavo il cuore di una comune mortale e facevo provare lei ogni tipologia di dolore che per lungo tempo si era insediato nel mio sangue.

Rivalsa.

Ed in ognuna di quelle circostanze, ritenevo di assumere l’ atteggiamento più adatto. Frutto del mio ragionamento complesso. Non nutrivo dubbi. Non ascoltavo nessuno. Andavo per la mia strada, fiero dei miei innovativi principi. Ignaro che ancora una volta sarebbe dovuta andare nel modo più sbagliato. Ma ora non accadrà più.

 

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Da “Sedotta e abbandonata”, cap. XXXVIII

 

E sono le venti e trentacinque di martedì due giugno del duemilanove. Tra meno di mezz’ ora l’ instancabile undici nerazzurro proverà a difendere il titolo di detentore della Coppa Italia nella gara di andata della doppia finale. Da qualche anno vinciamo solo questo trofeo. Dimenticavo, anche nei trofei estivi Tim e Moretti non abbiamo ancora avuto seri rivali. Ma questa sera avremo di fronte il Diavolo, che annualmente ripiega le proprie energie su campionato e Champions League. Roba da matti!

……

Ma ora c’è il derby, alla salute penserò poi. Smetterò di fumare quando avrò un buon motivo.

Fischio d’ inizio. Dirige Mauro Gabbrielli, 29 anni, della sezione Aia di Oristano. Giovanissimo. Grazie alla nuova riforma ha potuto tagliare questo insperato traguardo. Insperato, fino a qualche anno fa, quando si trovava ancora con un piede in Serie D, uno in Eccellenza ed uno in Promozione. Come? Non capisco! Non sento! Ah? Ne ha solo due? Scusate ho fatto una gaffe. Ma è un gran bel mestiere quello dell’ arbitro. Te ne stai lì novanta minuti a guardare una partita e non puoi neppure esultare! A fine partita non puoi parlare, tutti ti attaccano, tutti parlano male di te e tu puoi parlare solo con tua moglie a casa, se è già rientrata. Ma io non ci credo a queste storie, son tutte balle! C’ è arbitro e arbitro. Ognuno è diverso dall’ altro, ma tutti portano addosso lo stesso marchio. Ho un amico, Davide, che sino a qualche anno fa giocava le partite sui campi di terza categoria, i campetti polverosi di periferia, si, quelli. Lui si, Davide, che si faceva rispettare. Una volta ha espulso un tipo perché non aveva rispettato la barriera durante l’ esecuzione di un calcio di punizione e aveva giocato sui suoi sentimenti di eterosessuale.

“Ho fischiato, hai sentito? Punizione! Si metta a nove e quindici, è la distanza.” –

“Si metta a novanta, è il suo angolo”.

Se l’ è meritato, il maleducato di provincia. Come quello che per tutta la partita non aveva fatto altro che sospettare un comportamento imparziale del nostro amato arbitro.

“Ehi, arbitro! Ma lei è a richiesta! Si, è a richiesta!” –

“Non è vero, mica tu mi hai chiesto di ammonirti… eppure! Giallo per te!” – e il bulletto dilettante non la prese bene. Accennò una reazione che il capitano della sua squadra soffocò immediatamente. Nel proseguo della partita, forse poco soddisfatto del precedente provvedimento disciplinare, il duro già ammonito si scagliò dall’ arbitro dopo l’ assegnazione di un calcio di rigore a dir poco solare.

“Arbitroooooo!” –

“Chiariscimi le tue intenzioni. Da questo momento, hai quattro secondi per darmi una risposta che mi piaccia. Sarò inflessibile. Tempo scaduto. Giallo e rosso per te!”.

Cacciato. Improvvisamente. E nessuno da quel momento, in quella partita, ha più intaccato la sua serenità e il suo senso d’ onestà.

……

E mi parte uno starnuto. Che fastidio, non ho neppure avuto il tempo di prendere il fazzoletto. Se l’ avessi fatto, sarebbe rimasto in canna, falso allarme.

“E mettiti la mano in bocca!” –

“Non è igienico!”.

Chi le regola le leggi dello starnuto? Come? Ah, sempre lui? Ho capito. Si si, non ci sono problemi. A me non importa, non mi tocca la questione. Certo che però… che bel conflitto di interessi!

 

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Da “Se”, cap. XLII

 

Nulla potrà tornare come prima. Tutto è perso. Non potrò più seguire la mia natura. Il polverone non si abbasserà mai. È complicato togliersi di dosso un’ etichetta scomoda.

Se solo fossi riuscito a comprendere l’ antifona, almeno una volta nella vita.

Se è innegabile che le persone non cambiano mai, è pur vero che crescono.

Se raccogliete un cane affamato e gli date da mangiare, potete star sicuri che non vi morderà. Questa è la principale differenza tra l’ uomo e il cane.

Se fosse vero che gli opposti si attraggono mi potrei fare tutte le nere del mondo. Naomi Campbell sarebbe di mio patrimonio.

Se non è difficile arrivare al successo, lo è mantenerlo e confermarsi.

Ma col senno di poi sono tutti buoni.

L’ essenza dell’ uomo può essere raccolta in una sola frase, il dubbio che lo porta a sbagliare o a compiere la scelta corretta in ogni frangente: è più vantaggioso preferire un uovo oggi o una gallina domani?

Qualcuno quando non ci sarò più analizzerà le mie teorie, che verranno venerate. Qualcuno di voi, il prescelto, avrà il coraggio di credere in esse e diventerà più famoso di me.

 

E se soltanto fossi riuscito a comprendere le antifone, ora non mi ritroverei qui a pensare in questa maniera, nell’ indecisione più totale. Con una sola certezza: l’ uomo è istintivo, la donna è puttana.

Ma con i se non si è mai fatta la storia. Ma la storia si è fatta da sé.

L’ undicesimogiorno del nonomese del primoanno dopo i mille dall’ avvento del Cristo avvenne una delle tragedie dalle proporzioni più vaste per disonestà e vigliaccheria.

Se fosse stata compresa l’ antifona, ora non ci ritroveremo tutti qui a pensare in questa maniera.

Se solo lo si fosse previsto! Se.

 

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Da “Veni vidi veni”, cap. IXL

 

Secondo me le donne non si rendono conto di quello che sono, dell’ effetto che fanno ad un uomo in evidente stato d’ ebbrezza. Ora siamo in zona gravidanza indesiderata. Cazzo. Ho la fitta. Devo riuscire a calmarmi. Acqua. È finita? Allora una birra, è lo stesso.

Ho la pancia gonfia. Dovrei diminuire, con le bionde. Ne va del mio aspetto estetico, non più troppo accattivante, tuttora. E dire che l’ anno scorso avevo dei bei addominali! Avevo la tartaruga… quest’ anno ho un panda! Tristezza.

 

……

 

Ora Jessica decide che è arrivato il suo turno e si siede sulle mie gambe sjeansate e comincia a muoversi tentando invano di sbattere la testa sul tettuccio della macchina. Chissà perché lo fa! Si è incastrata a me forse per darsi lo slancio, o per non rischiare di cadere! Di sicuro ora sta rischiando di uscire fuori dalla macchina perché il getto che potrebbe vedermi protagonista non consente troppa riconoscenza verso chi lo ha reso possibile. La sua seicento bianca diventerà un a decappottabile, tra qualche secondo…

“Avvertimi quando…” –

“Okay… Tu continua così…” –

“Avvertimi…” –

“Dieci secondi al decollo…” – “Nove” – “Otto” – “Sette” –

“Toglitelo” –

“Perché?” –

“Toglilo!” – e per via di un furtivo inserimento di Jessica che non ora non può parlare il preservativo rimane semivergine. Che tempismo! La buongustaia amplifica quegli attimi di piacere senza buttare via neppure un secondo di rilassamento che per natura mi spetta. Delicatezza innata. Sa gestire il mio orgasmo quasi come se si trovasse contemporaneamente nel suo corpo e riuscisse a dire “ora basta”. Ed io ora capisco che esisto veramente. Vivo.

Coito, ergo sum.

Vengo, dunque sono.

Non godevo così tanto dal rigore sbagliato da Shevchenko nella finale di Champions del 2005 a Instanbul contro il Liverpool. Ve lo ricordate, milanisti? You’ll never walk alone!

Ora mi prende d’ assalto un leggero conflitto d’ intenti: rimango con lei, chiacchieriamo un po’ e facciamo rientro a casa, oppure torno alla festa e continuo a bere? Opto per la seconda. D’ altronde, il mio dovere l’ ho fatto. L’ obbiettivo principale della festa è stato raggiunto. Secondaria importanza è stata data alla suppa, alla compagnia tra amici. Nessuna importanza, invece, al rientro a casa. Quello arriva a prescindere.

Veni, vidi, veni.

Sono venuto, ho visto, sono venuto.

 

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Da  “Sonia”, cap. XXXVI

 

Un tempo la mia Sonia progettava l’ utopia. Voleva rimanere vergine. Sino al matrimonio. Un incubo. Una minaccia, per l’ umanità. Non si può vivere di solo hard cinematografico. È un dramma.

Rimanere vergini sino al matrimonio è come trattenersi dall’ andare in bagno. “Vado a fare i bisogni”, si dice, in quei casi. Ma è un bisogno anche quello, no? Non ci si può astenere sino al giorno del fatidico si. Almeno non io. E neppure Sonia, d’ altronde. Lo ha finalmente capito, grazie alla mia pressante azione di convincimento. Ora la nostra relazione è tenuta viva da ottime prestazioni sessuali. Ci divertiamo un mondo, l’ attrazione aumenta di giorno in giorno, la voglia pure, e non è affatto vero che col passare del tempo l’ eccitazione e il batticuore si affievoliscono e lasciano spazio all’ abitudine e all’ affetto. Lo facciamo in tutti i modi, dalla sessantanove al dolce missionario, passando per la posizione del contribuente italiano. E al fischio di chiusura, quando i nostri corpi si separano l’ un l’ altro, è l’ ora del classico e consolidato binomio succo di frutta-sigaretta. Una delizia. È l’ apice della pace dei sensi dei miei spermatozoi. Non sono mai stati più tranquilli, quest’ oggi. Quest’ oggi, come quel ieri e quel domani. Ma quante seghe ho alle mie spalle… parecchie, ve lo dico io. Non hanno fatto altro che assuefarmi. È una droga, si. Il sesso è una droga, una droga interna. Dopo un coito, modesto o soddisfacente, si libera nel corpo una sostanza, l’ endorfina, che porta al porco una sensazione di piacere. Ci si abitua, ci si vizia, e appunto, ci si assuefa. Non c’ è un rimedio, a mio avviso. Sarebbe come smettere di fumare. È la stessa identica cosa. Un dilemma. Con la differenza che l’ orgasmo con la sigaretta tra le dita io lo ho all’ accensione. Una scopata al contrario, potrei dire.

 

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Da “MPCSD”, cap. IV

 

Ritengo che persino per quanto riguarda il sesso, argomento tabù per le comunità ecclesiastiche, ci sia un progetto divino. Allo scopo di preservare la procreazione, Jason ha stabilito, in virtù degli ampi poteri conferitigli prima della Creazione, che fosse il caso di creare l’attrazione e il piacere nell’atto. I preservativi sono roba recente. Nelle intenzioni divine c’era la salvaguardia della specie, ed anche a questo proposito Jason capì che era preferibile non correre troppi rischi, e creò dunque il piacere. Beati coloro che vengono nel nome del signore. Credo di conoscere il senso di questa frase. È fin troppo chiaro, quindi futile parlarne.

 

 

 

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